Nella prima settimana di marzo sono entrata in smart working e questo ha fatto di me una privilegiata, perché mi ha permesso – e continua a permettermi – di tutelare la mia salute e il mio lavoro.
Al di là di un po’ di confusione iniziale, la mia attività lavorativa non è cambiata poi così tanto: stesse scadenze, stessi ritmi intensi, stessi processi, problemi tutto sommato simili. Ben presto, però, ho capito sulla mia pelle che il contesto in cui lavoravo non era solo forma, ma era sostanza.
Nella prima settimana di lockdown pensavo che il lato positivo dello smart working fosse la scarsa importanza assegnata al “dove” e quindi la libertà di collocare un po’ ovunque la mia postazione. Lavoravo sul tavolo della cucina, sul divano, sul letto.
Si rivelò una pessima idea.
Mi resi conto piuttosto in fretta che non potevo andare avanti così: avevo bisogno di crearmi un nuovo contesto, decidere quale fosse il mio nuovo luogo di lavoro e mettere lì il mio computer, il mio secondo monitor, i miei quaderni, le mie agende e tutto ciò che poteva essermi utile.
Poiché avevo la fortuna di potermelo permettere, ho deciso di dedicare una stanza della mia casa al lavoro: l’ho svuotata, l’ho pulita da capo a fondo, ho spostato la scrivania davanti alla finestra e ho organizzato ogni cosa per rendere il più possibile piacevoli le mie ore dedicate al lavoro.
Avevo bisogno di un luogo, un luogo nuovo e personale che io potessi associare al lavoro ma che fosse separato dal luogo della mia vita privata, in cui mangiavo, cucinavo, guardavo la televisione o dormivo.
Questo mi ha aiutata molto e ha generato altri cambiamenti. Anche se non ero obbligata a sottostare a ritmi serrati e definiti, ho ricominciato ad alzarmi presto ogni mattina (nonostante non avessi bisogno di riservare del tempo al tragitto tra casa e ufficio), ho dedicato tempo alla mia colazione, ho scandito la giornata in modo il più possibile regolare.
Non solo. Mi sono ogni mattina vestita, truccata e anche profumata. Sembra non avere senso, lo so: le mie relazioni avvenivano via webcam e nessuno avrebbe sentito il mio profumo. Tranne me e, proprio per questo, era importante.
La stanza, gli orari, i miei vestiti e persino il mio profumo fanno parte di un contesto. Lavorando ogni giorno fuori casa, mi ero convinta che fossero formalità cui ero obbligata a sottostare, ma che non avessero nulla a che fare con me, che non modificassero in alcun modo la mia capacità di concentrarmi o di lavorare bene.
Mi sono ricreduta.
La forma è diventata sostanza, nella misura in cui non è stata imposta dall’esterno, ma decisa da me per esprimere la volontà di prendermi cura del mio tempo, della mia casa e della mia persona.
Le dimensioni dello spazio e del tempo mi hanno mostrato tutta la loro essenza. Ho imparato che cose molto concrete, che spesso vengono tralasciate o trascurate, sono in realtà ben più importanti di quanto non si creda, perché raccontano e danno una forma al modo in cui decidiamo di vivere con gli altri, certamente, ma anche e soprattutto con noi stessi.